Le origini del gianduiotto, il cioccolatino di Torino

9 Maggio 2018

Croccante fuori e cremoso dentro: non stiamo parlando di un semplice cioccolatino, ma del famosissimo “gianduiotto”. Il tipico dolcetto al gusto di cioccolato originario di Torino viene consumato in tutto il mondo grazie alla sua bontà; non tutti sanno, però, che le sue origini raccontano una storia avvincente che coinvolge sia questioni politiche dell’800 sia temi più leggeri come la festa di Carnevale del 1869.

Il cacao conquistò il capoluogo piemontese ben tre secoli prima della nascita del gianduiotto. Il rapporto tra i Torinesi e il cioccolato iniziò a metà del sedicesimo secolo, precisamente nel 1559: di ritorno da Le Cateau-Cabrésis, dove fu siglato l’omonimo trattato di pace, Emanuele Filiberto tornò in Piemonte portando con sé i primi semi di cacao.

I Torinesi se ne innamorarono a prima vista: inizialmente e per molti anni, il consumo era limitato ad una bevanda liquida di cioccolato ottenuta dai semi. Ma per avere il primo cioccolatino vero e proprio si è dovuto aspettare fino al 1826. Proprio in quel periodo, Paul Caffarel, imprenditore di origine valdese, era proprietario di una fabbrica di dolci nel quartiere di San Donato a Torino, dove perfezionò una macchina che gli permise di produrre il primo cioccolatino: cioccolato solido ottenuto con la miscela di cacao, acqua, zucchero e vaniglia. Tuttavia, ben presto si avvertì l’esigenza di utilizzare ingredienti diversi insieme al cacao, a causa del Blocco Continentale voluto da Napoleone Bonaparte; con tale decreto, l’imperatore francese impedì per circa dieci anni qualsiasi attracco di navi inglesi su territori soggetti al controllo francese. Torino era sotto il dominio francese e gli inglesi erano i maggiori importatori di cacao di quel tempo: integrare le scorte con altri ingredienti divenne una necessità. Infatti, nonostante il Blocco, il consumo di cioccolato non intendeva rallentare: in quegli anni a Torino, i cioccolatai producevano circa 350 kg di cioccolato al giorno. Nel 1852 il figlio di Caffarel, Isidore, fuse l’azienda con quella di un altro importante industriale del settore dolciario, Michele Prochet. La Caffarel-Prochet, per rispondere all’ingente domanda di consumo, decise di sfruttare una collaborazione con la vicina Alba, scommettendo sul prodotto più famoso della zona: la nocciola Tonda Gentile delle Langhe.


Prochet ebbe l’intuizione geniale di sostituire nell’impasto i pezzetti di nocciola, facendola tostare e macinare, rendendola così simile a una crema alla quale venivano poi aggiunti il cacao e lo zucchero. Nel 1865 la Caffarel perfeziona la sua creatura a cui diede inizialmente il nome di “givò”, che in dialetto piemontese significa “mozzicone di sigaro” e che ricordava una piccola barca rovesciata. Il problema era come farlo conoscere al popolo senza che venisse rifiutato. In quel tempo il Carnevale era una festa molto diffusa e apprezzata in Italia, e i personaggi mascherati erano soliti lanciare dei dolciumi alla folla mentre attraversavano la città con i carri. Caffarel allora decise di sfruttare la tipica maschera di Carnevale “Gianduja” per distribuire i suoi “Givò 1865” ai cittadini. I Torinesi apprezzarono talmente tanto quel dolcetto al cioccolato da tramutare il nome in “giandujotto”: l’altra grande novità, infatti, fu quella di distribuire i cioccolatini prodotti non nelle solite scatole, ma singolarmente e avvolti in una carta dorata sulla quale era raffigurata la celebre maschera del Carnevale piemontese. Oggigiorno il cioccolatino alla nocciola delle Langhe viene prodotto in tutto il mondo; chissà se, senza Napoleone, lo avremmo mai gustato.

TORNA A TUTTI GLI ARTICOLI